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Convivenza o coppia di fatto? Cosa significa convivenza more uxorio? E convivenza anagrafica? Cosa spetta a chi è in una convivenza di fatto? Come si dimostra la convivenza?
In questo articolo risponderò a queste domande e molte altre, spiegando in cosa consiste la convivenza di fatto e quali sono i diritti dei conviventi di fatto secondo la legge italiana, e cercando di fare chiarezza tra i vari termini che vengono utilizzati in questo campo.
Convivenza di fatto. Cos’è e come funziona in Italia.
Convivenza significa molto più di condividere la stessa casa, è anche condividere un legame sentimentale e una progettualità, allo stesso tempo è difficile dare una definizione esaustiva del concetto, anche per la legge italiana.
Ad esempio, c’è un dibattito aperto sul momento esatto in cui la convivenza ha inizio, non c’è un numero di anni prestabilito dopo i quali si diventa una coppia di fatto.
I requisiti e le regole della convivenza di fatto sono alquanto vaghi, in questo modo gli organi giudiziari possono applicare misure diverse in base alla situazione.
Bisogna anche ricordarsi che spesso è il diritto a seguire i cambiamenti di idee ed esigenze nella società, ed è quindi una disciplina mai perfetta in costante evoluzione, anche per quanto riguarda le leggi sulla convivenza di fatto.
Ma cosa significa questa parola, convivenza?
Convivenza: significato
Come parola deriva dal latino “convivio” (banchetto) ed è composta dai segmenti “con” e “vivere”, rispettivamente “insieme” e “vivere”, si può quindi intendere come vivere insieme.
Nell’accezione più generale due o più persone convivono, quindi, quando per un periodo vivono insieme nello stesso luogo, questa è l’unica condizione necessaria.
Per quanto riguarda la legge e il senso comune, invece, con convivenza di fatto si indica anche la presenza di un legame affettivo o di parentela tra i conviventi, in assenza del quale si parla di convivenza anagrafica.
La differenza principale tra conviventi e coniugi sarebbe proprio la mancanza dell’istituzione del matrimonio, tanto che in passato la convivenza era definita concubinato, questo ha comportato l’esclusione dai diritti riservati agli sposi.
In tempi recenti, grazie a passi avanti legislativi, è diventato possibile usufruire di alcuni dei diritti (spiegati più avanti) tipici dei coniugi ma questo vale solo per la convivenza di fatto.
Che differenza c’è tra convivenza e convivenza di fatto
Va quindi fatta una distinzione tra l’accezione generale di convivenza, che indica il semplice abitare insieme, e la convivenza di fatto riconosciuta legalmente che richiede la presenza di un rapporto stabile e quella di legami affettivi e di reciproca assistenza.
La convivenza di fatto va attestata tramite una specifica dichiarazione di convivenza da presentare presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza.
In questo modo la convivenza di fatto diventa ufficiale e può essere anche definita convivenza formalizzata per distinguerla da quella non registrata in Comune, detta anche convivenza non formalizzata o semplice; nei fatti la coppia si comporta nello stesso modo e il certificato di convivenza di fatto è ciò che distingue queste due modalità di convivenza.
L’argomento sembra complicarsi quando si introducono le coppie di fatto.
Che differenza c’è tra convivenza e coppia di fatto?
Le coppie che effettivamente vivono come se fossero sposate, pur non essendolo, si possono definire coppie di fatto, i partner quindi coabitano e si sostengono reciprocamente sia per i bisogni materiali che quelli affettivi.
Questa definizione non sembra molto diversa da quella di convivenza non formalizzata, infatti, anche qui l’unica distinzione con la convivenza di fatto è l’assenza di un certificato di convivenza.
Si può dire quindi che le coppie di fatto sono formate da persone che convivono ma hanno deciso di non registrare la loro relazione in Comune, sono quindi equiparabili alla condizione di convivenza non formalizzata, mentre la convivenza di fatto viene quasi solo usata per indicare la convivenza formalizzata.
La differenza tra matrimonio e convivenza
Sono entrambe istituzioni giuridiche che inquadrano il rapporto tra due persone definendo gli obblighi di ciascuno nei confronti dell’altro, in entrambe vi sono dei diritti e doveri in comune tutelati dalla legge mentre alcuni sono ancora esclusivi del matrimonio.
La differenza principale è che per matrimoni e unioni civili si tiene conto della discriminante del sesso dei coniugi (per i primi deve essere opposto e per le seconde uguale) mentre per la convivenza di fatto è irrilevante.
Gli obblighi reciproci fondamentali del matrimonio sono la fedeltà, l’assistenza morale e materiale, la collaborazione e la coabitazione.
È quindi compito di ciascun coniuge rispondere alle esigenze familiari contribuendovi fisicamente o economicamente, ciò vale anche per il mantenimento, educazione ed istruzione dei figli nati dal matrimonio.
Venire meno a questi obblighi li fa cadere per entrambe le parti, ad esempio allontanarsi dalla casa senza una giusta causa fa decadere il dovere dell’altro di sostenere materialmente o moralmente il coniuge.
Nella convivenza, soprattutto quella non formalizzata, la maggior parte di queste obbligazioni sono poste da un punto di vista morale e non giuridico.
Se i conviventi hanno meno doveri hanno però anche meno diritti, ad esempio un convivente è esente dall’obbligo di fedeltà, non ha diritti sull’eredità dell’altro, inoltre non gli spettano assegni di mantenimento in caso di separazione e non può adottare salvo casi particolari.
Ciò che abbiamo detto sul matrimonio vale in linea generale anche per le unioni civili (esclusi obbligo di fedeltà e possibilità adozione), forse capire la differenza tra queste istituzioni potrà aiutarvi nella difficile scelta tra matrimonio e convivenza.
Nel prossimo paragrafo parlerò invece dei diritti e doveri delle coppie di fatto
Coppia di fatto: significato
Per chiarire, secondo la legge italiana le coppie di fatto sono quelle coppie che convivono pur non avendo un contratto di matrimonio e non essendo registrate in Comune come conviventi, rimangono quindi le condizioni di coabitazione e di reciproca assistenza morale e materiale.
Prima dell’introduzione delle unioni civili in Italia, qualunque coppia coabitasse senza essere sposata era considerata una coppia di fatto, per le unioni omosessuali questo era l’unico statuto giuridico che ne regolasse la convivenza.
Sebbene le coppie di fatto non siano riconosciute giuridicamente, nel corso del tempo sono stati creati dei precedenti che hanno definito cosa spetta ai membri di una coppia di fatto.
Famiglia di fatto: significato
Per famiglia di fatto si intende un nucleo familiare dove una coppia stabile convive e assolve ai diritti e doveri tipici del matrimonio, pur non essendo sposati.
Di solito si parla di famiglia di fatto quando sono presenti determinati requisiti, come la qualificazione della convivenza come tale (si intende la presenza di una progettualità e del sostegno reciproco morale e materiale), il riconoscimento della coppia come famiglia da parte della società, la stabilità della relazione e l’assenza dell’atto di matrimonio.
Visto che l’ufficialità della convivenza non è necessaria per costituire una famiglia di fatto, dal punto di vista legale possiede gli stessi diritti delle coppie di fatto, la differenza sta nell’uso comune della parola che fino a qualche anno fa era utilizzata unicamente per indicare coppie di sesso opposto.
Guarderemo adesso i diritti delle coppie di fatto (o famiglie di fatto).
Coppie di fatto: diritti e doveri
Come ho detto nessuno degli strumenti di tutela delle coppie di fatto è stato decretato giuridicamente, per tutelarsi sarà sempre necessario registrare la convivenza di fatto in Comune, è solo in sede di tribunale che, a seguito di problematiche derivate dalle crisi di coppia e dalle separazioni, si è cercato di individuare e definire i diritti delle coppie di fatto.
Anche se non è necessario iniziare un procedimento legale per separarsi in una coppia di fatto queste tutele sono state poste per permettere ai coniugi di poter essere indipendenti dopo la separazione.
Allo stato attuale delle cose ad esempio ciascun membro della coppia di fatto ha un diritto di possesso sulla casa in cui abita, in parole povere pur non essendo proprietario o intestatario dell’abitazione il partner non può essere allontanato senza preavviso o una buona ragione e può permanere anche dopo lo scioglimento della coppia per il tempo strettamente necessario a trovare una sistemazione.
In caso della morte dell’altro, il convivente sopravvissuto che vive in affitto e non fosse già intestatario del contratto di locazione, ha il diritto a subentrarvi fino alla naturale scadenza dello stesso.
Sempre in caso di morte di uno dei due, in questo caso solo se avvenuta per fatto illecito altrui, al convivente superstite spetta un risarcimento danni pari a quello che avviene per i coniugi.
Per ottenere il risarcimento è però necessario dimostrare ragionevolmente che la convivenza tra i due fosse stabile e che senza il fatto illecito altrui sarebbe proseguita nel tempo.
Non si ha invece alcun diritto di ricevere la pensione di reversibilità per familiari superstiti, che spetta solo ai consanguinei e ai coniugi (in questo caso vi rientrano anche le unioni civili).
Si nota anche l’assenza dell’obbligo alla reciproca fedeltà, la cui trasgressione in un matrimonio potrebbe comportarne lo scioglimento, almeno da un punto di vista legale.
C’è anche da sottolineare come il reato di maltrattamenti in famiglia sussista a prescindere dall’esistenza di un contratto di matrimonio o della formalizzazione della convivenza ed è quindi perseguibile anche quando si presenti in coppie di fatto.
Infine, adesso analizzeremo qualche casistica di separazione in coppie di fatto.
Le separazioni in coppie di fatto con figli
La separazione è un momento delicato, soprattutto quando ci sono di mezzo figli e quattrini, in questo caso gli strumenti di tutela sono rivolti principalmente al mantenimento del tenore di vita dei figli delle coppie di fatto e meno a quello dei genitori.
Il dovere di mantenimento dei figli nati in una coppia di fatto prescinde dallo status anagrafico dei genitori ed è obbligatorio dal momento che si mette al mondo il bambino, anche dopo la separazione, per quanto riguarda le spese straordinarie queste vanno divise a metà tra i genitori.
Le regole riguardanti il diritto di visita e l’affidamento condiviso dei figli sono le stesse per le coppie di fatto e quelle sposate, salvo condizioni particolari, i genitori hanno diritto alla stessa quantità di tempo da passare col figlio.
Per quanto riguarda la casa familiare si tende a lasciare vivere il figlio nella stessa casa dove è cresciuto.
Purtroppo, non essendo riconosciuti legalmente, gli ex-partner non hanno diritto all’assegno di mantenimento o agli alimenti dopo la separazione nelle coppie fatto, per tutelarsi è necessario accordarsi in precedenza in forma scritta.
Se non è possibile costituire un fondo patrimoniale, riservato ai coniugi, per tutelare i figli nati in una coppia di fatto i genitori possono comunque istituire un trust o un vincolo di destinazione nei loro confronti.
Più tutele sono riservate invece a chi vive in convivenza more uxorio.
Convivenza more uxorio
Con convivenza more uxorio si sta usando un termine complicato per indicare una coppia che convive nella stessa abitazione senza essere sposata, un fidanzato con cui si coabita è il convivente more uxorio.
Prima del riconoscimento giuridico della convivenza di fatto, il termine more uxorio era usato per indicare tutte quelle coppie eterosessuali che convivevano come coniugi ma in assenza di matrimonio, come ho già detto quelle omosessuali rientravano invece nelle coppie di fatto.
Al giorno d’oggi la convivenza more uxorio è diventata praticamente sinonimo di convivenza di fatto formalizzata, anche se nell’uso comune il termine viene usato più liberamente, e non è più legata al sesso dei membri della coppia.
More uxorio: significato
Il termine “more uxorio” deriva dalle parole latine “mos”(sta per usanza o consuetudine) e “uxor”(che significa coniuge o moglie) e può essere tradotto con “secondo la consuetudine matrimoniale” o “a modo di coniuge”.
Con convivenza more uxorio si indicano quindi quelle coppie non sposate che ciononostante convivono comportandosi come coniugi e, più nello specifico, quelle coppie che hanno ufficializzato la loro convivenza di fatto presso il Comune.
Il significato di “more uxorio” è rimasto praticamente invariato da quello che aveva nell’antica Roma, dove è stato coniato, già qui infatti si potevano trovare delle coppie che convivevano senza sposarsi.
I conviventi more uxorio
Anche se registrata e resa ufficiale in comune, la convivenza more uxorio (o convivenza di fatto) copre meno diritti e tutele rispetto al matrimonio o l’unione civile, pur avendone alcuni in comune.
L’obbligo di fedeltà, essendo tuttora legato all’istituzione del matrimonio, non è presente nella convivenza more uxorio e quindi non può essere fatto valere in tribunale.
Se all’ex convivente economicamente in difficoltà non spetta alcun assegno di mantenimento, nei casi in cui uno dei due non possa provvedere al proprio sostentamento ha il diritto a percepire un assegno ordinario per gli alimenti per un tempo proporzionale alla durata della convivenza.
In caso di morte dell’altro, il coniuge sopravvissuto non da diritti sull’eredità a meno che non venga incluso nel testamento.
Fiscalmente si è anche esclusi dalle varie detrazioni per gli oneri sostenuti per il convivente come l’istruzione o la sanità, ad esclusione delle detrazioni per le spese legate all’abitazione dove ha luogo la convivenza di fatto come le spese di ristrutturazione, l’acquisto di mobili o quelle legate al risparmio energetico, che sono invece fruibili.
Con la convivenza more uxorio si ha anche diritto alle detrazioni per i figli a carico, sono considerati solo quelli nati all’interno della convivenza, per ottenerle anche per figli nati da solo uno dei due partner è necessario un provvedimento di adozione.
Nel prossimo paragrafo guarderemo più da vicino la legge sulla convivenza di fatto (o more uxorio), finalmente elencando anche i diritti dai quali non si viene esclusi.
Convivenza di fatto: diritti e doveri
Prima di analizzare i diritti e i doveri dei conviventi di fatto, cerchiamo di chiarire una volta per tutte chi ne può usufruire.
Sono conviventi di fatto due persone maggiorenni (indipendentemente dal sesso) tra le quali esiste un legame affettivo e di reciproca assistenza, tra i due non devono sussistere rapporti di parentela, affinità o adozione e i due non possono essere già inseriti in una relazione.
La loro residenza e coabitazione deve risultare dal certificato di stato di famiglia, i diritti sono inoltre garantiti per coloro che possiedono già un certificato di convivenza di fatto.
Il diritto e dovere principale su cui si basa la nuova legge sulla convivenza di fatto è quello di reciproca assistenza morale e materiale tra le due parti.
La legge sulla convivenza
La legge che, ad oggi, disciplina la convivenza di fatto è la famosa Legge Cirinnà, risalente al 2016, dove vengono per la prima volta introdotte le istituzioni dell’unione civile e della convivenza di fatto.
La legislazione precedente, come detto, non considerava la convivenza come un’unità familiare vera e propria, ammettendo come tale solo il matrimonio, secondo alcuni esperti uno strascico della cultura clericale ancora molto presente nell’Italia del dopoguerra.
Nel 2003 vi è la prima spinta a favore del riconoscimento legale delle coppie di fatto, da parte di una risoluzione, approvata dal Parlamento Europeo, in cui si richiedeva agli stati membri di abolire le leggi discriminatorie (specialmente per quanto riguarda il matrimonio) nei confronti degli omosessuali.
Con la legge del 2016, in primis alle unioni civili, ma anche per la convivenza di fatto, vengono riconosciuti diritti e doveri simili a quelli del matrimonio, le adozioni vennero escluse per superare i blocchi parlamentari posti dall’ala più conservatrice.
Ma guardiamo adesso ai diritti e doveri della convivenza di fatto garantiti da questa legge.
Quali sono i diritti dei conviventi?
Una volta che si è in una convivenza di fatto si accede ad una serie di diritti e doveri nei confronti dell’unità familiare che si è creata.
I diritti previsti dall’ordinamento penitenziario spettanti ad un coniuge sono gli stessi spettanti ad un convivente di fatto.
In caso di ospedalizzazione o ricovero i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali, sempre nel rispetto delle regole delle strutture ospitanti.
In caso di malattia che infici sulle capacità del convivente di fatto di intendere e di volere, questo può designare l’altro (in forma scritta e firmata o alla presenza di un testimone) come suo rappresentante con poteri pieni o limitati per quanto riguarda le decisioni in materia di salute.
Questo può avvenire anche in caso di morte, qui il rappresentante prenderà decisioni riguardo la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
In caso di morte del proprietario della casa dove si convive, il convivente di fatto superstite può continuare ad abitare nella casa per un periodo pari alla durata della convivenza (da un minimo di 2 anni ad un massimo di 5); quando nella casa coabitano anche figli minori o non autosufficienti del convivente superstite questo può rimanere nella casa per almeno altri tre anni.
Il diritto viene meno nel caso il convivente di fatto superstite cambi casa, cessi di abitarvi stabilmente o entri in una nuova convivenza o matrimonio.
Per quanto riguarda le graduatorie per l’assegnazione di alloggi in case popolari, nei casi in cui il matrimonio costituisca un titolo preferenziale, la convivenza di fatto viene equiparata ad esso.
Se non è presente un rapporto di società o lavoro subordinato tra i due conviventi, al convivente di fatto che presta regolarmente la propria opera nell’impresa dell’altro spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare e agli incrementi dell’azienda, in maniera proporzionale al servizio prestato.
Il convivente di fatto può diventare tutore, amministratore di sostegno o curatore dell’altro, nel caso in cui quest’ultimo sia dichiarato interdetto o inabile ai sensi delle norme vigenti, stiamo parlando di disabilità comprovata.
In caso di morte del convivente di fatto causata da un fatto illecito di terzi, il convivente superstite ha un diritto al risarcimento danni al quale si applicano gli stessi criteri del risarcimento per morte del coniuge.
Quando la convivenza di fatto cessa, all’ex convivente che non può prevedere al proprio mantenimento l’altro deve corrispondere un assegno per gli alimenti per un periodo di tempo proporzionale alla durata della convivenza di fatto.
In caso uno straniero dimostri di convivere in Italia con una donna incinta (sia che si parli di convivenza more uxorio o di coppia di fatto) e di ottenere mezzi leciti di sostentamento dal rapporto, non potrà essere espulso dal paese e avrà la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno.
Stato civile del convivente
Se sono in una convivenza di fatto cosa scrivo nella sezione “stato civile”?
Lo stato civile è l’insieme delle caratteristiche personali con una rilevanza per le amministrazioni (come data di nascita o cittadinanza) e serve a tenere traccia delle varie situazioni individuali.
Se nelle unioni civili i partner vengono considerati “coniugi”, nella convivenza di fatto i due non sono legati da alcun vincolo contrattuale (possono separarsi in ogni momento) e rientrano quindi nello stato civile “libero”.
Proprio perché non considerati coniugati i conviventi di fatto non beneficiano delle detrazioni per il coniuge a carico, come detto prima.
Se escludiamo il diritto agli alimenti, non vi sono poi molte differenze tra ciò che spetta a due conviventi di fatto, rispetto alle coppie di fatto, dopo la separazione.
Separazioni di conviventi con figli
Anche in questo caso la maggior parte delle leggi sono indirizzate a garantire il mantenimento e la felicità dei figli della coppia separata; un grande passo avanti fatto dalla legislatura è stata l’equiparazione dei diritti dei figli nati da genitori sposati e di quelli nati fuori dal matrimonio, ad esempio in una convivenza di fatto.
La tutela dei propri figli prescinde quindi dallo stato civile e prevede che ad essi sia assicurata l’assistenza economica, l’istruzione e la cura genitoriale da parte di entrambi.
In caso di separazione vi è quindi l’obbligo per entrambi gli ex conviventi di provvedere a queste esigenze, per determinare l’ammontare della contribuzione si valutano vari criteri come l’ammontare delle spese ordinarie (vestiti e cibo), il tenore di vita del bambino prima della separazione (cercando di mantenerlo), il tempo previsto di permanenza del figlio presso ciascun genitore e le risorse economiche dei genitori.
Tenendo in considerazione questi fattori, in generale la contribuzione è proporzionale alle possibilità del genitore e raramente supera un quarto del reddito dichiarato; come per le coppie di fatto le spese straordinarie vanno divise egualmente tra i due.
La casa familiare viene sempre assegnata al genitore che vivrà col figlio (questo per mantenere il più possibile il tenore di vita intatto), l’altro ex convivente può chiedere il rilascio dell’immobile solo in casi di comprovata necessità imprevista o quando il figlio raggiunge l’autosufficienza economica.
Convivenza: come tutelarsi in caso di separazione
Come hai visto non ci sono poi così tante tutele per la convivenza di fatto in caso di separazione, le leggi si concentrano principalmente a mitigare gli effetti a breve termine della fine della relazione mentre per quanto riguarda orizzonti più ampi c’è da cavarsela da soli.
Il regime patrimoniale della comunione dei beni è imposto dalla legge solo sul matrimonio, e quindi in caso di separazione in una convivenza di fatto ad ognuno spetta ciò che ha personalmente acquistato durante la relazione.
La Legge Cirinnà, comunque, decreta come i conviventi di fatto possano accordarsi sul regime patrimoniale della relazione tramite un contratto di convivenza (spiegato nei prossimi paragrafi), a patto che questo rispetti le norme vigenti e l’ordine pubblico.
Il contratto di convivenza è effettivamente l’unico mezzo per tutelarsi economicamente se si ha intenzione di iniziare la convivenza di fatto.
Convivenza more uxorio: come si dimostra
Dimostrare la convivenza more uxorio significa dimostrare di essere una coppia affiatata e stabile che coabita, il modo più semplice è quello di presentare un certificato di convivenza.
Per ottenere il certificato di convivenza va presentata, anche da solo uno degli interessati, una specifica autocertificazione presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza, se approvata, l’Ufficio rilascerà il certificato di residenza e lo stato di famiglia per la coppia e gli altri interessati.
In effetti per dimostrare la convivenza more uxorio, dal punto di vista legale, sono sufficienti questi due documenti: il certificato di residenza (che specifica la casa di convivenza) e lo stato di famiglia (che attesta gli individui presenti all’interno della famiglia).
La presenza di figli nella coppia e di contratti cointestati (come il mutuo o il contratto di convivenza) possono funzionare da prove dell’esistenza di una convivenza di fatto stabile; la stabilità del legame affettivo può anche essere comprovata da testimonianze di terzi.
Questi ultimi metodi sono particolarmente utili per dimostrare la convivenza delle coppie di fatto, per accedere ai diritti della convivenza more uxorio il metodo più semplice e diretto rimane comunque quello del certificato di convivenza.
Certificato di convivenza
Il certificato di convivenza (anche detto carta di convivenza) è un documento rilasciato dal Comune tramite il quale la convivenza di fatto viene formalizzata, in sua assenza si parla di convivenza non formalizzata (o coppia di fatto).
In mancanza di un certificato di convivenza, non si potrà usufruire dei diritti e benefici spettanti ai conviventi di fatto di cui abbiamo parlato prima, infatti non c’è nessun obbligo nel registrare la propria convivenza in Comune.
Per ottenere il certificato di convivenza di fatto i due conviventi maggiorenni devono presentare un’autocertificazione, sottoscritta da entrambi, presso l’Ufficio Anagrafe dove affermano di essere una coppia di fatto e di coabitare nella stessa casa.
La registrazione e l’annullamento della convivenza di fatto sono gratuiti.
Nel prossimo paragrafo vedremo come presentare la dichiarazione di convivenza.
Dichiarazione di convivenza
La dichiarazione di convivenza può essere presentata da due persone maggiorenni, unite da un legame affettivo stabile, presso l’Ufficio anagrafe del comune di residenza, perché la richiesta venga accettata è necessario che i due risultino coabitanti e siano iscritti sullo stesso stato di famiglia, è quindi bene accertarsi di queste condizioni prima di proseguire.
La dichiarazione di convivenza può essere presentata quando si cambia indirizzo, quando ci si trasferisce in un nuovo comune o dopo la costituzione della famiglia anagrafica, in ogni caso la registrazione non è obbligatoria.
Nella dichiarazione i conviventi di fatto dovranno semplicemente affermare di essere una coppia di fatto e di coabitare allo stesso indirizzo.
La dichiarazione di convivenza può essere resa e sottoscritta direttamente davanti all’ufficiale dell’Ufficio Anagrafe, ma è anche possibile inviarla per via telematica o per fax.
Nel caso dell’invio telematico sarà necessario utilizzare la firma digitale per sottoscrivere la dichiarazione, altrimenti è possibile inviare la scansione della dichiarazione firmata unitamente a quella dei documenti d’identità dei dichiaranti, per sicurezza è sempre meglio informarsi presso il Comune.
Una volta presentata la dichiarazione di convivenza, spetta all’Ufficio Anagrafe effettuare i dovuti accertamenti e registrare la convivenza di fatto che avrà ufficialmente inizio nel momento stesso della presentazione della dichiarazione di convivenza.
Di solito se non si sentono notizie dall’ufficio anagrafe entro 45 giorni dalla data di presentazione la convivenza di fatto è stata registrata e l’Anagrafe dovrebbe avere aggiornato la residenza e lo stato di famiglia.
Nel prossimo paragrafo vedremo come regolare la propria vita in comune col contratto di convivenza.
Il contratto di convivenza
Nella convivenza di fatto, il contratto di convivenza permette di disciplinare i rapporti economici della vita in comune, in sua assenza la coppia vive sempre nel regime patrimoniale di separazione di beni.
Il contratto di convivenza è un accordo privato che va redatto in forma scritta a pena di nullità presso un notaio o un avvocato e può assumere la forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata e può contenere direttive sulla vita durante o dopo la convivenza.
La semplice scrittura privata tra le due parti non costituisce un contratto di convivenza.
Per avere una validità legale di fronte a terzi (ad esempio per il certificato di convivenza) il contratto di convivenza deve essere trasmesso dallo stesso avvocato o notaio che l’ha redatto o autenticato.
Ora vedremo più precisamente cosa può contenere il contratto di convivenza.
A cosa serve il contratto di convivenza?
Con il contatto di convivenza è possibile disciplinare la propria vita sentimentale ponendo determinati obblighi, simili a quelli del matrimonio, è utilizzabile quindi da tutte quelle coppie di fatto che intendono tutelarsi economicamente e regolarizzare la propria convivenza di fatto.
Le obbligazioni possono riguardare la durata ma anche la fine della convivenza di fatto e la loro eventuale trasgressione può essere discussa in tribunale, una volta sottoscritto il contratto.
Di solito un contratto di convivenza contiene l’indicazione della casa di residenza, le modalità di contribuzione alle necessità comuni (in base alle possibilità di ciascuno) e il regime patrimoniale di comunione dei beni (che può essere modificato in qualunque momento).
Legalmente, il contratto di convivenza non può contenere termini o condizioni, nel caso fossero presenti queste hanno validità solo tra i due partner e non in sede di tribunale.
Al contratto di convivenza vengono applicate le leggi nazionali dei contraenti o quelle del luogo dove si svolge la convivenza.
Ad esempio, il contratto di convivenza viene considerato nullo se redatto da persone che sono già in una relazione ufficializzata (matrimonio, unioni civili o altra convivenza), da persone non conviventi di fatto, da individui minorenni, da persone interdette giudizialmente o in caso di condanna per delitto.
Il contratto di convivenza può essere risolto in caso di accordo tra le parti ma anche per recesso unilaterale, inoltre viene risolto nel caso almeno uno dei conviventi entri in un matrimonio o unione civile o in caso di morte dell’altro.
In pratica viene risolto quando la convivenza di fatto si interrompe, in questi casi il contratto di convivenza può aiutare a regolare la divisione dei beni e l’eventuale separazione del patrimonio.
Ma come si fa un contratto di convivenza?
Contratto di convivenza: come fare
Come abbiamo detto prima i presupposti sono che i due siano conviventi di fatto, maggiorenni, non interdetti e non vincolati da rapporti di parentela.
Il contratto di convivenza può essere redatto, presso un avvocato o notaio, tramite una scrittura privata autenticata; in alternativa è possibile andare da un notaio e redigerlo sotto forma di atto pubblico.
Per i contratti che prevedono il trasferimento di diritti reali immobiliari è sempre necessaria la forma dell’atto pubblico.
Vista la varietà di opzioni ed esigenze personali, è bene prendersi un po’ di tempo per analizzare tutte le possibili situazioni in cui ci si può ritrovare e predisporre all’interno del contratto di convivenza, anche aiutati da un esperto di diritto, delle clausole adatte a gestire le vare problematiche che si possono incontrare.
Sarà poi compito dell’avvocato (o notaio) che autentica il contratto di convivenza attestarne la conformità alle norme legislative e al rispetto dell’ordine pubblico; la forma dell’atto pubblico, essendo standardizzata, è sempre nel rispetto della legge.
Costi del contratto di convivenza
Per redigere un contratto di convivenza si deve sempre passare dal notaio o dall’avvocato, il costo del contratto di convivenza sarà quindi la loro parcella.
I costi del contratto di convivenza possono variare in base all’entità del patrimonio, alla sua eterogeneità (da quanti tipi di beni diversi è composto) e in generale dalla complessità degli accordi che si vuole prendere, sia che si scelga la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata.
In linea di massima il costo può oscillare fortemente dalle diverse centinaia di euro (il costo di base è di circa 700 euro) alle migliaia (per patrimoni particolarmente ingenti si può anche arrivare ai 3000 euro).
In ogni caso conviene non andare alla cieca e chiedere prima un preventivo all’avvocato (o notaio).
In alcuni casi anche il recesso del contratto di convivenza può essere subordinato al pagamento di una multa penitenziale, questo tuttavia viene deciso in fase di redazione.
Rimane solo una delle domande iniziali ancora senza risposta: cos’è la convivenza anagrafica?
Convivenza anagrafica
Con convivenza anagrafica stiamo indicando un insieme di persone che coabita abitualmente nello stesso Comune per motivi religiosi, di assistenza, di studio o di pena; la convivenza anagrafica non discrimina per sesso, età o numero di membri.
Si usa quindi convivenza anagrafica quasi nell’accezione generale di vivere insieme e non in quella di unità familiare.
L’unica vera condizione della convivenza anagrafica è quindi la coabitazione stabile, perché questa sia accettata è anche necessario uno scopo comune a tutti i membri della convivenza, non si fa caso invece all’esistenza di rapporti affettivi o di parentela.
Cos’è la convivenza anagrafica?
Dal punto di vista amministrativo, con la convivenza anagrafica si intendono tutte quelle comunità di persone che coabitano in un dato luogo, al contrario della famiglia anagrafica, però, non sono presenti o necessari dei legami affettivi o di parentela tra i conviventi.
Ciò che è necessario invece è la presenza di una motivazione sociale condivisa, un buon esempio di convivenza anagrafica sono le persone che vivono in comunità.
In ogni convivenza anagrafica vi è la presenza di un responsabile, non necessariamente convivente a sua volta, che ha il compito di gestire i vari aspetti amministrativi della comunità.
Il responsabile della convivenza anagrafica ha infatti l’obbligo di segnalare le eventuali variazioni di composizione della convivenza e tutte le dichiarazioni relative devono provenire da lui, salvo casi eccezionali.
Per essere precisi non è considerata una convivenza anagrafica quella costituita dalle persone situate abitualmente in una struttura ricettiva (alberghi o pensioni).
Ulteriori letture sulla convivenza
Ecco alcune letture che ti possono aiutare a mettere delle regole nella convivenza di fatto:
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Studying psychology and communication at Università degli Studi di Milano Bicocca, musician in the free time.
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